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L’epilessia rappresenta un caso esemplare dei processi di costruzione dello stigma associato alla malattia con una straordinaria capacità di resistenza nel corso del tempo. A tale proposito basta pensare che è una delle più antiche e documentate “fake news” mediche della storia dell’umanità, pari e non certo inferiore a quello delle malattie mentali. Lo stigma rappresenta una delle tante modalità sociali di emarginazione che favoriscono l’auto e etero-esclusione dei malati e delle malate. Lo stigma legato all’epilessia si fonda sulla distorsione o trasformazione di nozioni scientifiche e cliniche in raccomandazioni comportamentali restrittive che riguardano la sfera individuale della libertà di azione, della mobilità, del lavoro, della pratica degli sport e di altre attività del tempo libero. Restrizioni e limitazioni vengono introiettate dalla persona come norme limitative alle attività quotidiane rafforzate dal timore che pratiche di emarginazione potrebbero venire da parenti e amici che fossero a conoscenza della malattia.
Ad operare tali limitazioni sono, in primo luogo, i medici, soprattutto se poco o male informati. Essi consegnano raccomandazioni comportamentali al paziente e ai familiari che nella maggior  parte dei casi sono improntate ad un atteggiamento prudenziale o preventivo per evitare un danno o un peggioramento della malattia. La comprensibile e doverosa esigenza di tutela e cura del paziente può condurre, se non accompagnata da un controllo della corretta acquisizione delle informazioni, alla produzione di pregiudizi che si consolidano in erronee condivise convinzioni di senso comune.
Lo stigma si alimenta di percezioni soggettive distorte del paziente e dei familiari più vicini e su quelle, altrettanto distorte, diffuse nei pregiudizi sociali. Se è possibile contrastare i pregiudizi prodotti dai pazienti e riconducibili al loro timore di esclusione sociale, più difficile è combattere lo stereotipo diffuso dei malati di epilessia. In questo complesso contesto, l’obiettivo di questa iniziativa è, in primo luogo, fornire un’occasione di riflessione e di confronto tra esperti, malati e cittadini che vogliano porre il problema politico dell’esclusione sociale derivante dalla condizione di malato/a.

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